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    FRIED Ilona
.: Come fondere le campane?

Il nuovo teatro italiano

Santarcangelo dei Teatri, luglio 2004

 

Sono arrivata per la prima volta, spero non l'ultima, a Santarcangelo, nei pressi di Rimini, al 34o festival dei teatri di ricerca. Si tratta di un festival dimportanza storica, che offre una panoramica del nuovo teatro articolata e rappresentativa. L'Emilia Romagna, come è ben noto, è patria di molti gruppi. Dai grandi vecchi: la Socìetas Raffaello Sanzio (fondata nel 1981) e il Teatro delle Albe (fondato nel 1983), alle compagnie che si sono affermate circa 10 anni più tardi, i teatri degli anni 90, come vengono spesso chiamati: Motus, Masque, Fanny & Alexander, Teatrino Clandestino. Hanno partecipato al festival anche i più giovani. Ricordiamo i due attori dello Zoe Teatro, costituito nel 2001 a partire da esperienze condotte nell'ambito della fucina delle Albe, animata dal regista e drammaturgo Marco Martinelli. Tre generazioni di artisti teatrali segnate da differenze, da affinità e, soprattutto, dalla ricerca d'un teatro necessario in cui riconoscersi ed esistere.

Come possiamo collocare storicamente la lunga vita del nuovo teatro italiano? Se il teatro del Novecento è stato un periodo di grandi cambiamenti e di grandi sfide, come si presenta e caratterizza lattuale transito dalle tradizioni dell'innovazione e della ricerca? Gerardo Guccini - studioso del nuovo teatro e docente del DAMS di Bologna - rimprovera alla storiografia una certa disattenzione nei confronti delle tendenze recenti; atteggiamento, questo, che "indebolisce proprio quelle [esperienze] che continuano a richiamarsi allesigenza del "nuovo, privandole di parametri, di criteri, di oggettivi riscontri didentità." "Culture Teatrali", (2/3, primavera - autunno 2000), p. 11

L "infinito intreccio di avventure", per citare ancora Guccini, del teatro del Novecento, presenta numerosi miti comuni, che avrebbero bisogno di venire conservati, cioè narrati, pensati, rivissuti. Come afferma lo studioso: "Le realtà del nuovo teatro coesistono, da un lato, con un sistema informativo che non ne riconosce le identità e le esigenze, dallaltro, con una storiografia che tende ad inquadrarle in unarea epigonale, dove le grandi rivoluzioni, gli eventi epocali e i 'miti' paradigmatici, quelli che narrano e sono la storia, si sarebbero già verificati una volta per tutte. [...] è preoccupante che la riflessione storiografica converta le straordinarie conoscenze acquisite sul teatro del Novecento in paradigmi culturali, che, applicati alle manifestazioni del presente (un presente che dura da più di ventanni), diano alimento a strategie riduttive e volte alla rimozione." ivi. p. 15 I grandi maestri degli anni 60 hanno vissuto il teatro anche come fatto etico, storico, sociale, mentre gli artisti "venuti dopo" ne hanno avuto una percezione mediata dalle trasformazioni del mondo contemporaneo, del quale il teatro condivide (facendoli propri oppure opponendovisi) la "frammentarietà, il trasformismo, il sincretismo, la multimedialità e il riconoscersi nel (deflagrante) modello temporale dellattimo." ivi. p. 17

Guccini evidenzia poi la nascita di generi di teatro a metà strada tra la ricerca e limpegno sociale, che non dimenticano gli insegnamenti di Grotowski e di Barba, lasciando ferma la centralità del corpo dellattore, e che, però, cercano presenze vere, identità non sostituite, storie reali. E una tendenza che immerge il lavoro teatrale fra le presenze e le realtà del vivere, accomunando esperienze apparentemente lontane come il teatro e narrazione (Marco Baliani, Laura Curino, Marco Paolini)e il teatro degli esseri di Pippo Delbono.

Cosa mostra dei fermenti dell'innovazione, il festival di Santarcangelo, uno degli eventi più importanti e significativi nel panorama italiano? Nel dépliant del festival, gli organizzatori precisano che questanno non si propongono tagli o argomenti

particolari: "Nessun criterio anagrafico, tematico, linguistico o di genere è stato preso in considerazione nel progettare questa edizione di Santarcangelo dei Teatri. Fin dallinizio è stato chiaro che si trattava di dare credito ad artisti disposti a mettersi realmente in gioco, a intraprendere o a perseguire la propria ricerca con la disperata vitalità cantata da Pasolini, a giocare da contrappunto con la realtà, a rischiare il fallimento nel tentativo di contrastare il processo di derealizzazione che corrode le vite di tutti noi, magari creando suoni e immagini capaci di opporre resistenza allascolto e allo sguardo, di non farsi consumare alla prima occhiata." Il sottile discrimine della realtà di Silvio Castiglioni, Silvia Borriroli, Massimo Eusebio, Andrea Nanni, in "34o festival Santarcangelo", Coedizioni Santarcangelo dei Teatri, Maggioli Editore, 2004, p. 7

Gli organizzatori hanno dunque voluto privilegiare il senso della sfida e quella capacità di mettersi in gioco, che conferisce vita e necessità all'atto del teatro. Alcune tematiche si sono tuttavia delineate: l'interazione fra le arti; il ritorno del quotidiano nella dimensione scenica; la dilatazione della nozione di spazio scenico. Ogni luogo poteva diventare sede di spettacolo: la vecchia cava fuori uso, la cappella sconsacrata, il campo seminato di granoturco, alla palestra della scuola...

Uno dei filoni percorsi è stata lopera di Pasolini, alla quale si sono dedicate ben tre compagnie. Non è stata una scelta occasionale: la rivolta contro la civiltà del consumo trova infatti forti punti di appoggio nelleredità pasoliniana, che individua nell'identità personale un luogo politico dell'opposizione al primato dell'economia e del guadagno. Le compagnie degli anni 90, per quanto inizialmente caratterizzate dalla sperimentazione sui linguaggi e dalla ricerca duna formalizzazione estetica rigorosa, stanno dunque seguendo un diverso itinerario che le porta a confrontarsi con il teatro impegnato degli anni 60 e 70: la loro autoreferenzialità oltrepassa lestetismo, facendosi strumento di opposizione e resistenza alla cultura dei media, con la sua tendenza all'uniformazione, all'indifferenza, alla svalutazione degli elementi irriducibili e propri dell'identità individuale.

Santarcangelo, così almeno mi sembra, vuole trasmettere un messaggio preciso, che individua nelle esperienze estetiche del nuovo teatro i semi d'una nuova controcultura: etica e immersione nel sociale, così come lo era stata quella degli anni '60 e '70. Cambiano le modalità, i riferimenti e anche le forme, ma non gli intrecci che collegano al mondo reale i percorsi dell'innovazione.

Fra i gruppi guida del nuovo teatro italiano, la Socìetas Raffaello Sanzio occupa un posto di primo piano: Romeo Castellucci e Chiara Guidi ne hanno diffusamente esplicato la poetica. Fra i tre fondatori del gruppo di Cesena, Claudia Castellucci e Romeo Castellucci si sono diplomati in Pittura e Scenografia allAccademia di Belle Arti, Chiara Guidi invece in Lettere Moderne. Il loro è un teatro intesamente visivo in cui lidentità organica dellattore e degli oggetti si condensa in pose, in "quadri viventi" dai quali lazione scaturisce come in un processo naturale, assumendo alloccorrenza anche contenuti narrativi che, comunque, restano sempre soggetti "alla priorità dellaspetto visivo." I teatri anomali della Raffaello Sanzio, a cura di Damiano Paternoster, p. 101

Conturbanti i "quadri viventi" a Santarcangelo: levento (Crescita), della durata di 15 minuti e realizzato di fronte a 12 spettatori per volta, è parte dellampio progetto Tragedia Endogonidia. Scopo della compagnia è appurare la possibilità della tragedia in una cultura senza Dio. I pochi momenti che ne vediamo costituiscono unesperienza catartica. Il pubblico viene guidato nella palestra di una scuola. In mezzo, un bambino seduto su un pallone da basket mostra le spalle al pubblico. Entra unanziana bidella con un secchio dacqua. Chiede al bambino che cosa ci sta facendo, gli dice che lei deve chiudere la scuola. Ad un tratto, il bambino si alza e va alla finestra. La bidella, inaspettatamente, prende il suo posto sul pallone. Si sfila la parte superiore del grembiule restando a torso nudo. Vediamo la sua schiena cadente. Il bambino prende la spugna dal secchio e comincia a lavarla. Il bambino esce. La donna resta sola, dalla sua nuca cola un filo di sangue. La tensione viene caricata da un violento intervento acustico di suoni registrati. Il pubblico viene fatto uscire. Il rito, condotto con i mezzi più poveri e calcolato fin nei minimi dettagli, è finito.

Tanto Crescita è essenziale e povero, tanto Lospite dei Motus è spettacolare, complesso, tecnologico; in entrambi casi è però evidente unimpostazione rituale che fa della partecipazione al teatro unoccasione per percepire collettivamente la natura della condizione umana. Il gruppo ha tratto ispirazione dagli scritti e dai film di Pasolini: da Teorema, da Appunti per un film su San Paolo e da Petrolio. Muovendosi fra teatro (azioni dal vivo), cinema (scene filmate) e scrittura (frasi lette e proiettate su grandi schermi), lo spettacolo indaga lintreccio fra diversi tipi di linguaggio, cogliendo soluzioni visive di grande effetto. Il Padre, la Madre, il Figlio e la Serva vivono ciascuno una vicenda di iniziazione sessuale con lOspite misterioso, che potrebbe essere Paolo e Pier Paolo, venuto "a scompaginare il clima di pacificazione, la bulimia sessuale che li rende creature sorridenti e vacue". Lo spettacolo finisce con limmagine filmica del corpo del Padre, nudo, nel deserto (la scena è stata girata nel Sahara); è una "figura da pala daltare, Cristo deposto su un paesaggio lunare come negli incubi di Grünewald". Annalisa Sacchi, Il sesso sacro dellOspite, "Il Giornale del Festival", 9 luglio 2004, p. II

Il palcoscenico è coperto di immondizie. Immagine simbolica e fortemente critica della società postindustriale.

Si basa su riferimenti cinematografici, pur diversamente filtrati, anche il Masque Teatro. Davaj (Avanti) si ispira al film di Tarkovszkij Andrej Rubljov. Il progetto è durato alcuni giorni. Non si è trattato di uno spettacolo nel senso tradizionale dellespressione, ma di un vero e proprio processo di lavorazione intensamente ritualizzato, di cui il pubblico poteva seguire le diverse tappe. Nucleo del progetto è stata la fusione di una campana che, lultimo giorno del Festival, avrebbe dovuto risuonare nella piazza principale di Santarcangelo, di fronte allofficina dove era cominciata questazione collettiva e condivisa.
Lazione solcava tanto gli spazi interni dellofficina, che quelli aperti della vecchia cava dove il programma si svolgeva, rendendoli teatrali oppure filmici: il paesaggio arso, i macchinari arrugginiti e fuori uso, i suoni strani e quel mondo di oggetti buttati fra le immondizie ricordavano infatti, ancor più di Rubljov, latmosfera di Stalker dello stesso Tarkovskij. La ricerca, in tutto ciò, di una perfezione formale e di un senso esistenziale rendeva lazione degli attori molto seria, quasi fanatica.

Da parte mia, ho trovato lesperienza discutibile: anche se non sono mancati momenti stupendi (ad esempio, la colata del metallo durante lo spettacolo notturno), non riuscivo a non angosciarmi per gli attori, che agivano in condizioni di pericolo alle quali non erano preparati né fisicamente né tecnicamente. Mi pareva una prova fin troppo dura. Ho appreso poi con sollievo, che a parte una ferita, sono riusciti a sopravvivere a questa esperienza senza incidenti gravi, anche se la campana, alla fine, non si è potuto farla suonare: era crepata.

Ancora un mestiere, quello del contadino, era al centro dellomaggio a Pasolini realizzato, in forma di rito funebre, dal Teatro delle Ariette con lo spettacolo Lestate. Fine. Già mesi prima, gli attori e il regista (Stefano Pasquini) avevano individuato un campo nei pressi di Santarcangelo, lavevano coltivato con cura, facendo crescere un orto rigoglioso fra le alte piante di granoturco. Il pubblico, limitato a circa quaranta persone, entrava dapprima in una piccola casa colonica vuota; al centro dellambiente vi erano alcune spighe di grano e un baule. Quattro uomini lo sollevavano e lo portavano a spalla come se si fosse trattato di una bara. Il pubblico li seguiva a passo lento fino a raggiungere, in mezzo al campo di granoturco, lo spazio aperto dellorto dove aveva luogo uno strano rito funebre celebrato, in prima luogo, da una donna con addosso un camice bianco da ospedale. Il pubblico era disposto su tre lati, lungo il quarto cera la tavola dove, durante il rituale, gli attori preparavano il cibo con le verdure coltivate da loro stessi. Veniva utilizzato un microfono e la tavola, di tanto in tanto, diventava anche palcoscenico. Forse il momento più bello, che contrapponeva una fluida naturalezza alla rigida strutturazione delle precedenti fasi, era lofferta del cibo al pubblico. Momento che, daltra parte, si rifaceva a un precedente spettacolo di grande successo delle Ariette, Teatro da mangiare?, dove, durante una cena consumata assieme agli spettatori, i membri del gruppo (coltivatori bio-alimentari), narravano le loro storie di vita.

Il Teatro Zoe presentava Vi e Ve. Partita di carte nel regno delle ombre, uno spettacolo molto ironico basato su testo di Marco Martinelli, del Teatro della Albe, maestro dei due giovani attori. La situazione drammatica rappresentava la quotidiana partita a carte fra lo scrittore Vittorini e il pittore Veronese. Due sono le tematiche che si intrecciano in questo apologo scenico. Il ripetersi degli eventi, che ripropone nel tempo una stessa partitura di ritmi e frasi, e la censura: quella di Togliatti e del P.C.I. verso Vittorini, quella del SantUffizio verso il Veronese. Martinelli e con lui gli attori del Teatro Zoe sembrano insomma dirci, che, così come nel regno delle ombre il ciclo degli atti si ripete uguale, anche nella storia ritornano gli stessi valori e comportamenti. Il tutto veniva recitato in dialetto folignate: una trovata linguistica che aumentava ulteriormente laspetto grottesco del dialogo, e lefficacia recitativa degli attori - va da sé, di Foligno.

Ecco alcuni degli esempi di nuovo teatro italiano proposti dallultimo festival di Santarcangelo. Ognuna di queste realtà segue una propria strada. Ciò che le accomuna è il fatto di non rappresentare unopera scritta (leccezione di Martinelli si spiega con la coincidenza di regista e autore drammatico nella stessa persona). Nel nuovo teatro non è lo spettacolo che nasce dal testo, ma è il testo che nasce dallo spettacolo.

Dobbiamo ammettere che la mancanza dun dramma alla base può comportare uneccessiva semplificazione dei personaggi, delle azioni e del discorso scenico. Gli spettacoli più riusciti, però, presentavano una struttura altamente articolata e traducevano in forme stilisticamente pure larmonioso intreccio dei mezzi espressivi. Penso, prima di tutto, alle produzioni della Raffaello Sanzio e dei Motus: simbiosi di visioni, suoni e significati con frequenti riferimenti alle arti figurative, in particolare modo al minimalismo. Per le nuove forme scompaiono i limiti di genere. Ma non tutto si compie al livello delle commistioni artistiche: cè anche, probabilmente in reazione alla complessa società postindustriale, un importante ritorno al quotidiano, al mondo dei mestieri e dellartigianato.

Per completare il quadro, è necessario almeno un riferimento al teatro di narrazione, tendenza fra le più rilevanti e visibili del nuovo teatro italiano, e presente al festival di Santarcangelo con Lasino albino di Andrea Cosentino.

Una programmazione particolarmente interessante del Festival era costituita dalle proiezioni video, che mostravano fasi preparatorie degli spettacoli o autonome realizzazioni dei gruppi. Fra queste spiccava Splendids dei Motus. Il film, basato su un testo di Genet, riprendeva un precedentemente spettacolo dello stesso gruppo. Tanto il lavoro teatrale che la realizzazione filmica erano ambientati nel Grand Hotel di Rimini. Questa, in estrema sintesi, la trama: otto banditi stanno passando gli ultimi minuti prima della loro cattura in un albergo già circondato dalla polizia, fra di loro un poliziotto sedotto dalla vita del ganster, passioni, conflitti, il cadavere duna ragazza presa in ostaggio... Il film è stato chiamato giustamente "una splendida festa di morte", e riesce a trasmettere con forza il mondo assurdo-tragico di Genet, con il suo senso dellaggressione e della minaccia, la sua percezione delle strutture di potere, lossessione per il rito e la morte.

I paradigmi del nuovo teatro italiano richiedono un pubblico pronto ad accogliere proposte diversificate e spesso spiazzanti. A quanto sembra, questo tipo pubblico cè. Ed è anche disposto a sfilare fra le alte piante del granoturco, a sedersi sullerba riarsa nella cava, ad affollare piccole sale di spettacolo, a sfidare il vento notturno... sono persone di ogni età, molti sono i giovani, ma molti anche gli anziani (dalta parte, in Italia, la tradizione del nuovo teatro sta per compiere cinquantanni).

La grande sfida che il nuovo teatro deve affrontare ad ogni sua successiva riproposizione generazionale riguarda, come osserva Gerardo Guccini, la ricerca dun pubblico allargato, per raggiungere il quale è spesso necessario riadattare e reinterpretare le proprie esperienze e conquiste, come, negli anni passati, hanno fatto, per non citare che due esempi significativi, Mario Martone e Federico Tiezzi. A parere dellamico Guccini, anche i Motus stanno attraversando questa fase; il loro Ospite, contaminando azioni dal vivo e immagini filmiche, assume infatti anche la narratività del mezzo filmico, e con essa la capacità di animare personaggi e raccontare storie. Si vedrà nei prossimi anni quali saranno le loro scelte.

Al polo opposto, la Socìetas Raffaello Sanzio continua il proprio percorso nella ricerca, coniugando la sperimentazione sui linguaggi con lessenzialità tragica.

Nel nuovo teatro italiano sono molti i fonditori di campane, che fanno dello spettacolo una sfida rischiosa e quasi impossibile. E, per fortuna, qua e là, è possibile intendere rintocchi dal suono penetrante e puro.