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    FRIED Ilona
.: Passeggiate nel bosco della prosa italiana
(Prima del crollo del muro di Berlino)

 

 
"I giovani narratori? Ribelli immaginari", dice il noto scrittore Sebastiano Vassalli nel titolo di un suo articolo. Corriere della Sera, Sabato 14 Dicembre 1996, p. 35 "Con questo articolo, vorrei dare a tutti il benvenuto in uno dei club più tradizionalisti e meno esclusivi che esistano al mondo: quello della letteratura italiana. Come dicevano una volta i bigliettai: 'Avanti c'è posto!'" L'autore che ha iniziato la carriera con la neoavanguardia degli anni '60, e nei suoi romanzi ha cercato di distruggere alcuni miti, non dimostra una soddisfazione particolare alla vista dei giovani di oggi.

L'articolo per poter polemizzare evidentemente esagera. Quello che a noi può sembrare un filone interessante è la problematica del centro e della periferia alla quale accenna pure: fino a che punto la letteratura italiana sia riuscita a tener passo con il "centro" internazionale oppure è davvero conservatrice al punto da rimanere isolata ed essere confinata in periferia?

Altri filoni per questo mio breve saggio potrebbero essere la questione politico-culturale-geografica sul piano europeo o internazionale, o la questione del centro e della periferia all'interno del paese, il ruolo di alcune delle regioni periferiche, o semmai la posizione di alcuni gruppi sociali nella cultura.

Prima di rispondere alle domande dobbiamo ricordare che il romanzo classico italiano è apparso in realtà nella prima metà dell'Ottocento. Erano in ritardo l'unificazione del paese, la formazione dei ceti medi, l'unità linguistica, e così malgrado le tradizioni risalenti fino al medio evo della novella, il romanzo inteso nel senso classico era in un leggero ritardo rispetto p.e. all'Inghilterra, in quanto il "romanzo nazionale" di Alessandro Manzoni, i Promessi Sposi fu pubblicato nel 1827. I protagonisti campagnoli, come si sa, nel finale grazie alla Provvidenza, con la loro forza morale riescono a vincere gli ostacoli di fronte al loro matrimonio. Oltre al filone principale, come sua parte integrante c'è anche un altro aspetto non meno interessante: "l'antecedente" del romanzo è il ritrovamento di una cronaca settecentesca. La voce narrante colloca la storia d'amore in un contesto storico e trasmette p.e. una descrizione molto approfondita della pestilenza di Milano. L'avvicinarsi alla cronaca, il doppio ruolo del narratore in quanto anche cronista, facilita un'eventuale applicazione degli avvenimenti di un passato lontano a quelli del presente del romanzo, e illuminare in questo modo gli ideali del Risorgimento.(Come uno studioso ha osservato in riferimento al filone dell'amore in realtà nel romanzo non vengono approfonditi l'amore, i sentimenti, l'affetto o simili dei due giovani.)

Oltre ai vari registri stilistici la lingua è una questione chiave, e l'uso della lingua diventa addirittura la grande novità del romanzo. Il dialetto fiorentino, che aveva il rango di lingua letteraria ormai da secoli, vi si mescola con elementi del dialetto milanese, il che significò un passo notevole nella direzione del rinnovamento della lingua letteraria.

Il Novecento fa spesso capo a Manzoni, p.e. un autore sperimentale, di grande portata come Carlo Emilio Gadda, all'opera del quale torneremo più avanti. Un altro autore dell'Ottocento la cui tradizione ha pure influenzato generi e modi di parlare diversi è Giovanni Verga. Anche lui colloca le sue opere più importanti in un ambiente contadino. Tramite lui e il gruppo di narratori suoi contemporanei (naturalmente non è né la prima né l'ultima occasione del genere) una periferia regionale, il Sud, la Sicilia occupa un posto centrale nella gamma letteraria italiana. Mentre I promessi sposi di Manzoni può essere considerato il grande romanzo cattolico, le novelle e i romanzi più conosciuti di Verga danno voce al verismo, contemporaneo del naturalismo francese con il suo determinismo, con la visione di un'esistenza senza speranza sia sul piano individuale sia sul piano sociale, come spazio ha spesso il villaggio, il mondo dei "vinti". (Il protagonista di Mastro Don Gesualdo, che vorrebbe staccarsi dal suo ceto originario rimane mastro, un estraneo arrampicato.)

La voce narrante verghiana per apparire impersonale, oggettiva, rende la descrizione dell'ambiente sociale, dello spazio dei vari avvenimenti, dei personaggi, raccoglie i punti di vista, il modo di vedere dei personaggi, del mondo da lui trasmesso. Anche per Verga come per Manzoni la lingua, lo stile è essenziale. Il condensamento drammatico, la carica espressiva dei proverbi siciliani tradotti in italiano, dei modi di dire, la rappresentazione concentrata del mondo dei personaggi semplici popolari ha influenzato notevolmente sia il neorealismo della metà del Novecento, sia le sperimentazioni formali letterarie della seconda metà del Novecento.

L'eredità nella prosa del Novecento resta ancora la divisione linguistica e di conseguenza un certo ritardo. Lingua letteraria e lingua comune sono ben lontane, anzi, quest'ultima è quasi inesistente, le varie regioni, entità geografiche usano i propri dialetti. All'inizio del Novecento solo una minima parte della popolazione è in grado di comunicare nella lingua standard. La lingua letteraria è piuttosto una forma scritta, che per vari secoli era priva di un sottofondo vivo e vario, capace di cambiare continuamente, cioè quello della lingua comune. Questa tradizione ha certamente contribuito alla gerarchia rigida che l'estetica della prima metà del Novecento ha posto tra i vari generi letterari. Secondo Croce il primato spettava alla lirica. Del dramma non se ne parlava nemmeno - era l'ultimo nella fila. (Secondo il parere di numerosi critici nella letteratura della prima metà del Novecento i risultati maggiori li ebbe la lirica, mentre poi nella seconda metà l'epica, la prosa sarà al centro.) Benché la politica culturale del fascismo abbia perseguitato i dialetti, la lingua comune si diffonde solo nel secondo dopoguerra con la diffusione della radio e poi della televisione. Il prezzo da pagare però era alto: i dialetti sono stati messi da parte, un errore che solo ultimamente la politica culturale cerca di rimediare, anche se oggi si può fare abbastanza poco.

La lacuna linguistica e culturale che rese difficile il percorso della prosa e più ancora del dramma, d'altra parte ebbe anche delle conseguenze positive, in quanto si crearono diversi centri culturali, ognuno di essi con le proprie caratteristiche. Dobbiamo accennare al fatto che oltre alla Sicilia, si formarono anche altri centri periferici, come p.e. Trieste che fino al 1918 pur con una cultura per lo più in lingua italiana, fece parte dell'Austria-Ungheria, anzi ne fu il porto più importante. E' qui che visse negli anni '10 anche James Joyce (neanche l'Irlanda fu un centro), e fece amicizia con l'uomo d'affari di successo ma come scrittore quasi sconosciuto che si chiamava Italo Svevo. Più tardi, già nella seconda metà degli anni '20, fu Joyce a promuovere l'edizione francese di La coscienza di Zeno di Svevo a Parigi, dove introdusse il collega italiano nella cerchia degli intellettuali francesi. Oggi ormai la maggior parte della critica italiana considera il romanzo come il maggiore della sua epoca che però riuscì ad accettare solo con un notevole ritardo. Molto probabilmente era il romanzo che ai suoi tempi si avvicinava di più alla modernità europea. Lo sdoppiamento della voce narrante, la questione centrale dell'identità, il linguaggio nuovo, la destrutturazione dei piani temporali, la mescolanza dei vari strati degli avvenimenti narrati, e non per ultimo la riflessione e autoriflessione ironica, i tipi di commenti, indicano la direzione del romanzo moderno. Tutto ciò in realtà riprende solo decenni più tardi nella prosa italiana.

Il centro europeo, il modello per la letteratura italiana resta a lungo Parigi, la Parigi del decadentismo, del simbolismo, ma dove poi viene pubblicata anche la prima manifestazione futurista di Marinetti, e dove pubblica anche Massimo Bontempelli la sua rivista allora innovativa Novecento.

Bontempelli e alcuni altri scrittori con il così detto "realismo magico" costituiscono una voce nuova fino ad allora sconosciuta negli anni '20 e '30 nella prosa italiana, con una influenza notevole anche nel secondo dopoguerra.

Nel romanzo italiano con la comparsa di questi autori subentrano elementi fantastici, fiabeschi, parabolici. In Ungheria quello più conosciuto fra loro, in particolare negli anni '60, '70 è stato Dino Buzzati. Come professione, analogamente a molti suoi contemporanei, era giornalista, con uno stile di alto livello, una buona penna, un cronista curioso, interessato. Dietro alla sua bravura stilistica, dietro al mistero tanto caratteristico della sua prosa, c'è veramente profondità e complessità o solo una brillantezza superficiale? La simbologia tanto abilmente strutturata della fortezza misteriosa di Il deserto dei tartari è solo una trovata scelta con una bravura professionale o è di più? Fra qualche anno forse saremo in grado di rispondere. Ma è anche possibile che ci sia qualcun altro fra gli autori aperti al fantastico presente nel quotidiano, all'irreale, al surreale. Vorrei citarne alcuni: Tommaso Landolfi, Antonio Delfini, Alberto Savinio (quest'ultimo il fratello di Giorgio De Chirico, pure lui riscoperto ultimamente come pittore e come critico d'arte) e Enrico Morovich, un autore che io apprezzo molto.

A proposito di Parigi penso solo alla narrativa senza accennare alla lirica o al dramma sui quali la cultura parigina pure esercitò una notevole influenza.

In Italia fra le due guerre domina la prosa della vena classica, "il bello scrivere", ma è anche l'avvio del neorealismo, sotto il segno del quale il cinema già a partire degli anni '30, ma ancora di più negli anni '40 e '50, ha prodotto opere di portata internazionale. I cineasti scendono dagli studi e girano nelle strade film sull'uomo comune, spesso con attori non professionisti, con un linguaggio cinematografico nuovo, con il movimento della cinepresa diverso, con un altro modo di vedere rispetto a prima.

Nella letteratura Italo Calvino esprime un parere che molti condividono: secondo lui il neorealismo non era una scuola, non era un indirizzo omogeneo, ma lo caratterizzava fin dagli inizi una pluralità di voci. Un componente frequente ne era l'ideologia, prima di tutto il marxismo, ma ad ogni modo l'impegno di sinistra. (Nel secondo dopoguerra in Italia gli intellettuali di sinistra avevano un ruolo importante, però non dobbiamo dimenticare che neanche il ruolo della Chiesa è trascurabile. La censura p.e. di solito aveva intenzione di ostacolare le opere che la Chiesa trovava offensive. Per la nostra breve carrellata sulla cultura dobbiamo anche aggiungere che è solo negli anni '70 che, grazie ai risultati dei referendum, è stata introdotta la legge sul divorzio ed è diventa legale l'aborto.

Per quanto riguarda il neorealismo nella letteratura come abbiamo citato Calvino si produssero opere molto varie, dal punto di vista narratologico molto divergenti. Al punto che molti mettono addirittura in dubbio l'esistenza di questo indirizzo. Possiamo dire che le opere che sono uscite negli anni '30, nel periodo del fascismo, di solito non erano molto ben viste dalla politica cultura ufficiale di allora, ma rimasero confinate ai margini della cultura. Così Gli indifferenti di Moravia i cui personaggi provengono dall'alta borghesia romana, suscitò un notevole scandalo con la sua forte critica sociale, con la sua novità nel modo di vedere e nel suo linguaggio. Nel romanzo abbiamo scene quasi filmiche (quasi sequenze), e una densità di stile, tutti nuovi all'epoca. Vorrei condividere il parere di quei critici che ritengono questo primo romanzo di Moravia il migliore. (Moravia è considerato maestro dello stile con basi forti nella lingua quotidiana.) Anche se da una parte il fascismo ostacolò l'apertura della cultura, la creazione di una statura europea, ciò non toglie il fatto che per la fine degli anni '20 e per gli anni '30 il volume dell'editoria dei libri aumentò, si fondò un'industria della stampa e dell'editoria, essenziale per l'editoria e per la stampa del secondo dopoguerra. Editori vari tuttora importanti sono sorti in quel periodo.

Negli anni '30 ormai non solo la prosa moderna europea come p.e. Proust era arrivata in Italia, al pubblico italiano, ma grazie all'attività di alcuni degli scrittori importanti come Cesare Pavese o Elio Vittorini vennero tradotte anche le opere più importanti della letteratura americana. Studiosi come p.e. il noto critico Cesare SegreSegre fanno cenno ai dialoghi di Hemingway o all'influenza del suo concetto dell'"iceberg" sul romanzo Conversazione in Sicilia di Vittorini. Conversazione in Sicilia è anche un esempio per l'uso di motivi metaforici, simbolici, surrealistici. Il presente del narratore protagonista è intessuto della rivisitazione della terra madre, della madre, dell'infanzia, della gioventù, della lotta interna dell'intellettuale con la storia della sua epoca, con la politica, con la tensione tra il restare fuori o scegliere la resistenza attiva. Il narratore è vicino all'autore, alle sue esperienze personali.

L'interesse per l'uomo comune, per i contadini a volte viene rappresentato con un interesse sociologico, citerei l'esempio di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Il narratore-protagonista del romanzo vive confinato un paese del Sud il cui mondo sconosciuto si sta scoprendo: i contadini poveri, che vivono ancora nei miti, nelle superstizioni centenarie.

Siccome la censura già negli anni '30, ma di più ancora dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale ebbe sempre di più influenza sull'editoria, gli scontri divennero sempre più frequenti, e capitò pure che qualche opera p.e. il bel romanzo a mio avviso di ispirazione profondamente marxista, Fontamara di Ignazio Silone fosse pubblicato all'estero, in Svizzera. (dove tra l'altro Silone visse in esilio.)

La prosa dunque come del resto anche il cinema è sensibile alla "periferia" sociale, alla povertà, all'esistenza contadina o operaia, alla problematica del Sud, e poi dopo la guerra, alla storia del passato presente, alla Resistenza, ai campi di concentramento: il tutto basato su esperienze di vita personali. La memoria, le corrispondenze, la cronaca, il diario, la prosa intessuta di motivi autobiografici si arricchissero anche della tematica delle difficoltà della ricostruzione del dopoguerra. C'erano diversi autori a elaborare le loro esperienze sul fronte sovietico, così Mario Rigoni Stern o Nuto Revelli. Altri, come Mario Tobino, si sono occupati della guerra d'Africa. Primo Levi, come descrisse lui stesso, divenne scrittore sotto l'influenza (che cercava di elaborare disperatamente), del campo di concentramento. La sua prosa amalgama il tono lirico con il carattere impersonale e oggettivo del saggio. Oltre ai suoi ritratti memorabili dei compagni nel campo e nei viaggi, la narrazione di avvenimenti da lui stesso vissuti è molto vivace. I suoi romanzi riescono a non diventare patetici a volte proprio grazie all'ironia che prende le distanze. Tenta di razionalizzare e di elaborare psicologicamente quello che gli è impensabile, incomprensibile. Il suo suicidio ha reso una fine molto tragica alla sua sorte.

Giorgio Bassani scrisse pure delle leggi razziali che presenta attraverso la vita di una famiglia, nel romanzo: Il giardino dei Finzi Contini.

Come dice lo storico della letteratura Giorgio Pullini l'impegno per la "vita vissuta", il "realismo in prima persona" furono al centro dell'interesse. Gli scrittori figurarono nel ruolo del cronista. L'aggettivo "neorealista" viene spesso usato a proposito delle opere di Corrado Alvaro, Carlo Bernari, Giuseppe Berto, Vitalino Brancati, Carlo Cassola, Beppe Fenoglio, Francesco Jovine, Primo Levi e Domenico Rea.

La carriera di uno degli autori ben noti, quella di Vasco Pratolini, dimostra oltre a meriti innegabili anche i pericoli di questa tendenza: un populismo, con certi pregiudizi e semplificazioni. Tutto ciò non è del tutto alieno neanche all'intellettuale di spicco, a Pier Paolo Pasolini. La sua prosa degli anni '50, come anche i suoi primi film, hanno come protagonisti personaggi appartenenti al sottoproletariato che potrebbe essere secondo Pasolini portatore dei valori puri, se la società lo permettesse. Pasolini del resto ancora all'inizio degli anni '60 si lamentava del provincialismo della letteratura italiana e come risulta da una sua intervista ha scelto il cinema per trovare un linguaggio universale. Oltre alle difficoltà presentate dalle tesi ideologiche nella sua prosa, a volte il suo linguaggio diventa difficilmente traducibile: là dove adopera l'argot per caratterizzare meglio i suoi personaggi per poter introdurre meglio il loro ambiente, con i cambiamenti della lingua, un momento che questi vengono consumati, datati, perde la sua forza anche la prosa.

Le riviste letterarie e culturali negli anni '40 e '50 acquistarono grande importanza, come anche i capi dei gruppi di scrittori, poeti che si radunavano intorno a loro: penso a redattori-scrittori come Pavese, Vittorini, Moravia, Calvino, ecc.

Oltre alla sopravvivenza dei generi classici, alla prosa che si riallaccia al romanzo ottocentesco, compare anche il romanzo-parabola: forse in modo più caratteristico nell'opera di Calvino. (Ho già accennato precedentemente al romanzo Il deserto dei tartari di Buzzati in questo genere). La trilogia di Calvino degli anni '50 dal titolo I nostri antenati consta di 3 romanzi fiabeschi-parabolici. Non è casuale l'interesse di Calvino per le fiabe popolari italiane, di cui fece una bellissima raccolta, o per il poema cavalleresco, di cui elaborò anche una trascrizione, mi riferisco a Orlando furioso di Ariosto.

Nel modello sperimentale di Il barone rampante volendo possiamo riconoscere una ricerca da parte di un intellettuale che non doveva essere lontana neanche dello scrittore: il barone in realtà è un intellettuale che guarda alla società da lontano, dall'alto, dal razionalismo dell'Illuminismo come punto di partenza, ma che non riesce neanche a staccarsene completamente, un personaggio che potrebbe essere anche lo stesso scrittore. La critica ha messo in rilievo tra le altre cose anche un eventuale rapporto nell'aumento della delusione dell'autore con la rivoluzione del '56 ungherese: sono usciti migliaia di persone quella volta da uno dei partiti più forti dell'occidente che era il PCI, fra gli altri Calvino, Pasolini, Paolo Volponi, ecc. (Secondo la posizione del PCI di allora l'entrata dei carri armati sovietici era necessaria, una necessità della lotta di classe. Non così, come poi nel 1968 quando il Partito prese una posizione contraria all'occupazione della Cecoslovacchia - però questo è già un capitolo successivo). Il tono ironico non risparmia neanche il barone, l'(auto)ironia in quel momento è un aspetto meno caratteristico della prosa italiana che non di quella della Mittel-Europa. Anche se come abbiamo già accennato, era già stato una componente considerevole di vari innovatori sia della prosa di Svevo, sia di quella di Gadda che esordì negli anni '30, in realtà spetta poi alla fine del millennio, gli ultimi decenni del Novecento, che diventi un tono largamente diffuso della prosa italiana. I redattori di un'antologia poetica pubblicata recentemente si lamentano invece per il fatto che a loro avviso è proprio il Novecento ad avere scarse liriche ironiche, mentre ritengono che i periodi precedenti ne siano stati ricchi.

Se siamo alla ricerca di forme letterarie sperimentali, possiamo citare il sovramenzionato Gadda, che attirò l'attenzione della critica a partire dagli anni '30. Le sue novelle pubblicate in quegli anni hanno già grosso modo le caratteristiche delle sue opere mature. Nel 1957 pubblicò poi in forma rielaborata (quella originale è del 1946-47) il romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Gadda anticipa la prosa postmoderna, la moltiplicazione di punti di vista, di identità narrative, i frammenti, l'uso della sequenzialità, la presenza di vari modelli letterari. Crea nei suoi testi con una bravura fantastica: i vari registri linguistici, anzi le alternanze di vari linguaggi, le loro combinazioni, il "pasticciaccio", creati da lui, (forse è più vicino al "pastiche") costituiscono un mondo del tutto particolare. Il suo genere prediletto è il "giallo" che però diventa infedele alla sua origine e i mosaici non possono essere integrati almeno non nel senso originale del genere, di conseguenza l'azione non si può concludere. La soluzione s'intravede, ma rimane incerta, l'opera è aperta, non conclusa.

La produzione di Gadda viene spesso paragonata dalla critica a quella di Joyce anche per quanto riguarda l'autoreferenzialità delle loro opere, con la differenza tra l'altro che l'italiano, una lingua molto meno diffusa rispetto all'inglese, non può arrivare al numero delle traduzioni in lingue straniere cui arriva l'inglese. A mio parere questa è la ragione principale perché Gadda non è stato (ri)conosciuto all'estero quanto avrebbe meritato. (Compresa l'Ungheria dove l'altro suo romanzo più noto La cognizione del dolore è uscito poco fa, ma benché di grande importanza, un passo notevole per colmare una lacuna, non riesce ad arrivare alla ricchezza e complessità dell'originale.) La visione fondamentalmente tragica del mondo viene in parte sciolta dall'ironia, ma tutto e tutti si deformano, vengono distorti senza pietà, compresa la lingua. Nessuna figura, nessun ceto sociale risulta esente di colpe grosse o almeno dall'ombra di quelle colpe. Mancano le norme, o anche se ci fossero, verrebbero comunque trasgredite. "Ogni intero si è rotto", come dice un poeta ungherese. Però, malgrado tutto, il sistema viene formato proprio in questo fittizio disordine. Gadda si stacca vistosamente dal concetto del sublime in letteratura, il suo lettore in lotta con il testo deve comunque avere una sua cultura: non può essere una persona qualsiasi. Non solo deve seguire cambiamenti velocissimi di pensieri, ma deve avere familiarità oltre con il latino possibilmente anche con le lingue neolatine. La prosa successiva italiana impara molto da Gadda, le sue trovate linguistiche, gli spostamenti dei confini dei generi, avranno i loro successori.

Verso la fine degli anni '50, negli anni '60, nella gamma letteraria ha di nuovo un ruolo notevole la letteratura siciliana: il romanzo regionale, familiare, storico Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (considerato da vari letterati come bestseller) arrivò al successo internazionale proprio nel momento della stanchezza del neorealismo. La Sicilia in questo contesto divenne rappresentante di un alone, di una maestà di antica data, e contemporaneamente del mito del declino, della decadenza, della morte, e passò nella letteratura vittoriosa attraverso una lingua letteraria sofisticata nel genere del romanzo classico.

E' stata ben diversa la strada dell'insegnante-scrittore, più tardi deputato-politico Leonardo Sciascia: con lui invece arrivò al centro dell'interesse il giallo politico a livello della letteratura, il tema della mafia, un tema di grande interesse per l'Italia degli anni '60, e quello della morale in politica. Del resto la letteratura del Sud doveva confrontarsi con un'eredità non facile: con i problemi sociali e politici irrisolti - presenti del resto anche nell'economia e in ogni segmento della vita quotidiana. Cesare Segre ritiene che la questione meridionale irrisolta sia in parte una conseguenza del fatto che alcuni degli aspetti della storia del fascismo non sono ancora stati elaborati. Quando per esempio gli Alleati sono sbarcati nel 1943 in Sicilia, il Sud è stato subito liberato, e così non si doveva creare un movimento di resistenza come nell'Italia Centrale e del Nord, movimento che divenne anche un fattore sociale importante e che poi dopo la guerra perduta poteva diventare la base per una morale interna del paese e per le trattative esterne. Il Sud divenne una delle roccaforti dei democristiani che vennero al potere nel secondo dopoguerra, e quello che Segre indica solo nel suo saggio, dopo le ultime elezioni ha anche ricevuto una risposta: in quanto, dopo il vuoto lasciato dai democristiani, qualcuno colmerà poi il vuoto: i partiti di centro-destra hanno ottenuto una maggioranza schiacciante.

Oltre alle opere di matrice sociale, in particolare negli anni '70 e '80 la letteratura siciliana è diventata testimone di sperimentazioni interessantissime come quelle di Vincenzo Consolo o di Gesualdo Bufalino. Il loro linguaggio vicino al barocco è quasi una proiezione di quel mondo, la suscettibilità ai cambiamenti e l'incertezza diventano però portatori anche di un generale messaggio esistenziale. Sono le stesse caratteristiche alle radici non solo delle inchieste politiche di Sciascia, ma anche dei "gialli" dell'autore di un successo inaspettato oggi, di Andrea Camilleri.

Negli anni '60 il mercato culturale, "l'industria culturale" si ampliarono, guadagnò terreno la comunicazione, e s'intensificò la vicinanza dei "centri" europei e americani. I risultati delle ricerche condotte nel campo della linguistica e della teoria della letteratura si fecero sentire, comparve anche la semiotica. Italo Calvino abitò in parte a Parigi, ed ebbe familiarità anche con la cultura francese. Ebbe rapporti stretti con gli intellettuali francesi. Il semiologo eminente, Umberto Eco, a sua volta si avvicinò alla teoria letteraria, al modo di vedere, modo di interpretare americano. Questo elemento, la sua rete di conoscenze e non per ultimo il fatto di esser conosciuto lui stesso negli Stati Uniti, penso che abbiano avuto un ruolo non trascurabile nel successo del suo romanzo Il nome della rosa pubblicato nel 1980, un successo quasi insuperabile. L'autore era perfettamente consapevole delle aspettative del pubblico: il suo romanzo è secondo molti critici la vittoria delle ricerche nel campo della teoria della letteratura... Nessuno mette naturalmente in dubbio che si tratti di un romanzo per eccellenza postmoderno. Anche chi voglia considerare l'opera di Eco come bestseller, e, seguendo la scala dei valori letterari tradizionalmente accettati, non ritenga questo genere di alto prestigio, riconosce invece e ritiene di alto valore estetico il romanzo di Calvino, pubblicato un anno prima di quello di Eco, dal titolo Se una notte d'inverno un viaggiatore. Vede nel romanzo un incrocio fortunato tra teoria postmoderna e la pratica dello scrittore, lo considera come una sintesi di grande formato, molto ben riuscita.

All'interno del romanzo dalla struttura geometrica troviamo come protagonista il Lettore, che acquista e poi inizia a leggere lo stesso romanzo. Però poi ogni singolo primo capitolo viene interrotto: si perde il resto dell'opera, così per poter cercare la continuazione del "libro" si inizia un altro primo capitolo. I titoli dei capitoli letti insieme costituiscono una frase complessa, con l'aiuto della quale si può interpretare il titolo ellittico, e in questo modo anche lo stesso romanzo naturalmente acquisisce una certa possibilità di interpretazione. L'azione della cornice non avrà una sola conclusione, ma una chiusura spiritosa e parodistica. (Le invenzioni giocose del romanzo comunque riescono ad evitare i pericoli ai quali potrebbero essere sottoposti, prima di tutto che diventino troppo didattici, teoretici.)

A proposito delle opere degli anni '70 di Calvino si fa spesso paragone con l'opera di Borges e così anche con il concetto di un "unico libro", (secondo il quale la letteratura come tale ha creato in tutto un unico libro), della letteratura come imitazione, con il labirinto, le tesi dello specchiamento, ecc. Calvino ha una predilezione per il gioco logico, per la combinatoria, e mentre costruisce modelli, parabole, usa riferimenti, allusioni, paragoni, ripetizioni. Come scrive Beáta Thomka anche l'autoriflessione del genere acquista una funzione narrativa, funge da metalinguaggio. Calvino continua ancora ad esercitare una notevole influenza sulla letteratura nel decennio successivo.

La critica letteraria italiana di oggi, che si occupa molto dei fenomeni moderni e postmoderni, presta un'attenzione notevole anche tornando indietro nella storia letteraria ad opere che a loro volta erano innovative: così un'opera pubblicata nel 1956 da Antonio Pizzuto, Signorina Rosina o il romanzo sperimentale che tratta della società degli anni '60 Fratelli d'Italia di Alberto Arbasino. (Il titolo è il primo verso dell'inno nazionale italiano). Ma ogni tanto si torna anche alla letteratura "industriale" degli anni '60 che aveva come tematica "l'alienazione" dell'uomo che lavora nella grande industria, nella fabbrica.

Forse è stato proprio negli anni '70 e '80 che la letteratura italiana ha realizzato l'incontro da tempo aspettato con la lingua comune, con i suoi vari registri. Diventa diffusa "l'atteggiamento parole" (Beáta Thomka). Allo stesso tempo, proprio perché il testo diventa il centro dell'epica, l'epica si avvicina spesso alla lirica, (come del resto anche al contrario: nella lirica si vedono anche tracce dell'epica). L'immagine visiva, quella della pittura, o della musica, vengono pure spesso collegate alla prosa. Sul piano delle immagini espressive diventa una metafora ricorrente il "viaggio", come se il picaresco una volta poco presente nella letteratura italiana volesse adesso nascere naturalmente sotto forme ormai diverse. Si tratta di un periodo favorevole per la prosa: nascono opere multicolori, plurivocali, vari.

Un altro fenomeno importante del periodo, già presente nella letteratura degli anni '60, e divenuto poi caratteristico anche nei decenni successivi, è il divenire centro di un'altra periferia sociale e culturale quello della donna: aumenta il numero delle scrittrici, e il loro ruolo, il loro luogo nella letteratura, il posto che occupano è senza dubbio uguale a quello dei colleghi maschi. (Pensiamo a Elsa Morante, a Anna Banti, a Lalla Romano, a Natalia Ginzburg, o della generazione successiva a Dacia Maraini, a Francesca Sanvitale, ecc.) Sappiamo bene che c'erano scrittrici notevoli già nel secolo XIX o all'inizio del XX secolo, ma non in numero così elevato. D'altra parte non dobbiamo dimenticare neanche il fatto che in Italia l'emancipazione femminile in realtà non è neanche di lunga data.

Vorrei citare il nome di alcuni degli autori importanti degli anni '70 e '80: Antonio Tabucchi, Daniele Del Giudice, Aldo Busi, Andrea De Carlo e Vincenzo Consolo.

L'autore famoso Antonio Tabucchi, in una sua opera, nel dialogo Una telefonata per Luigi Pirandello, ipotizza un contatto immaginario e grottesco con il grande predecessore. Pirandello si occupò del concetto dell'umorismo nei primi decenni del secolo XX nel saggio su L'umorismo e nelle opere letterarie. Nei suoi drammi della maturità al centro troviamo la questione della relatività, quella del doppio, la formulazione del dubbio, il commento estetico-filosofico e di conseguenza le opere sono cambiate anche strutturalmente rispetto ai drammi (o romanzi) precedenti, classici: dalla caduta della linearità dell'intreccio, deriva il carattere spezzettato delle opere. La struttura di alcuni drammi di Pirandello basato sul metateatro, influenza molto la problematica letteraria successiva della forma, dei cambiamenti dei generi che vengono dopo.

Anche Tabucchi usa alcune di queste eredità: il motivo dello specchio, la tecnica del montaggio, la segmentazione. E' stato lui a riconoscere la casualità della struttura sperimentale del suo primo romanzo: Piazza d'Italia A un convegno ha svelato che essendo arrivato alla fine della sua scrittura, ispirato sul momento, si è messo a tagliarla e poi a rimontarla in un ordine diverso, evitando in questo modo la linearità tradizionale. Tuttora adopera con successo questo metodo: uno degli aspetti interessanti dei suoi romanzi è proprio la loro struttura. Fanno parte del suo bagaglio di scrittore oltre al sogno, all'immaginazione, al mistero, al fantastico, pure le contraddizioni, le ripetizioni, i paradossi. Il Notturno indiano è piuttosto un metaromanzo, il primo livello dell'azione è un viaggio in India, che serve però anche da metafora per la letteratura, per l'esistenza, per le questioni essenziali sull'esistenza.

Nelle novelle scritte all'inizio della sua carriera possiamo ammirare in particolare il suo stile molto elaborato, a volte quasi baroccheggiante, le sue immagini bellissime: le sfumature a volte quasi patetiche vengono controbilanciate da una forte (auto)ironia. E' così l'inizio del romanzo che scrive più in avanti: Requiem "Pensai quel tizio non arriva più. E poi pensai: mica posso chiamarlo 'tizio', è un grande poeta, forse il più grande poeta del ventesimo secolo, è morto ormai da tanti anni, devo trattarlo con rispetto, meglio, con tutto il rispetto. Ma intanto cominciavo a sentire fastidio, il sole dardeggiava, il sole di fine luglio, e pensai ancora: sono in ferie, stavo tanto bene là ad Azetâo, nella casa di campagna dei miei amici, chi me l'ha fatto fare di accettare questo incontro qui sul molo." - Il poeta sovramenzionato, il grande spirito appena rievocato è un altro modello per Tabucchi: Pessoa, che Tabucchi da studioso della letteratura portoghese ha anche avuto modo di studiare e di tradurre. - Più in avanti i contorni sfumati del romanzo, il mistero rendono possibile i cambiamenti dei narratori e dei loro punti di vista.

Anche Tabucchi come anche altri autori già menzionati, è attratto dal genere del giallo, dalla sua struttura, dalla sorpresa finale, e adopera ben volentieri queste tecniche. Gli capita di usare anche delle reminiscenze politiche in primo luogo nel romanzo che si svolge durante il periodo della dittatura in Portogallo: Sostiene Pereira - anche se resta solo sulla superficie.

Nelle sue novelle elabora spesso le metafore della pittura, analogamente a Daniele Del Giudice, che appartiene alla sua stessa generazione, o anche a molti fra gli scrittori più giovani.

L'esempio di Tabucchi a mio avviso significa anche un segno inquietante per la forza distruttrice del mercato, del marketing: lo scrittore di fama non può più restare in ombra, dev'essere difficile fare a meno di certi vantaggi economici, che gli portano le pubblicazioni delle loro opere. Di conseguenza può anche pubblicare in momenti in cui forse sarebbe meglio aspettare, (anche se poi riesce a vendere in tirature grosse grazie proprio al suo nome), continuare a lavorare in silenzio, lasciare alcune cose per sè.

Se a proposito degli anni '60 ci vengono in mente prima di tutto le esperienze poetiche e i cambiamenti sociali, i giovani narratori degli anni '80 si occupano ben poco di questioni sociali. Alcuni spiegano proprio con il ritardo del romanzo italiano il fatto che ancora in quegli anni uno dei motivi più scottanti della prosa sia l'analisi dei vari atteggiamenti dei lettori, la lingua letteraria, cioè questioni, che in alcune altre culture comparivano già prima. Nella prosa di Daniele Del Giudice è molto importante la precisione e la puntualità, non per caso è stato proprio Calvino ad aiutare l'esordio del suo primo romanzo.

"Questo romanzo racconta d'un giovane che si interroga su un certo personaggio, a una quindicina d'anni dalla sua morte; e va a ricercarne gli amici e le amiche di gioventù, ora molto anziani... Dalle domande che egli pone, pare lo interessino le ragioni per cui quell'uomo, pur avendo una coscienza letteraria molto esigente - anzi, forse proprio per questo, - invece di scrivere preferisce agire direttamente sulla vita delle persone. E' la scelta tra "scrivere" e "non scrivere" che il giovane vuol risolvere?

...Cosa ci annuncia questo insolito libro? La ripresa del romanzo d'iniziazione d'un giovane scrittore? O un nuovo approccio alla rappresentazione, al racconto secondo un nuovo sistema di coordinate?" scrive Calvino sulla copertina del libro.

Lo Stadio di Wimbledon è un metaromanzo con al centro, il rapporto tra scrittura e esistenza. Il luogo delle ricerche del protagonista è Trieste e il personaggio letterario mitico, il protagonista "virtuale", è Bobi Bazlen, personaggio di spicco non solo della vita letteraria triestina, ma della vita letteraria italiana, che scoprì scrittori, poeti (p.e. Svevo), lui però quasi non scrisse.

Nel romanzo successivo, nel romanzo che poco fa è uscito anche in ungherese, nell'Atlante occidentale Del Giudice confronta le varie realtà: quella della fisica, quella del volo e quella della percezione letteraria - ne nasce un romanzo essenzialmente autoreferenziale.

Il maestro Calvino aiutò l'esordio anche di un altro scrittore, di Andrea De Carlo, che iniziò la sua carriera come rappresentante della prosa minimalista (Treno di panna). Il romanzo dal titolo simbolico Uccelli da gabbia e da voliera si occupa della società del consumo, della metropoli, del modo di vita nella metropoli. L'uso del tempo presente, la sua tecnica filmica, le sue allusioni alla cultura giovanile degli anni '60 e '70, l'accento sulla cultura anglo-americana erano le novità che presentava. Come ha dimostrato la critica, nella struttura del romanzo si trovano elementi vari: quelli del giallo ma anche p. e. quelli del romanzo rosa.

E' un pericolo indubbiamente di questo tipo di romanzo, che sulla scia della vita comune possono arrivare anche autori di meno talento, e si crea il fenomeno del tipo di romanzo che Giorgio Pullini chiama "romanzo-chiacchiera": possiamo cominciare a credere che per scrivere un romanzo basti prendere note di tutti gli avvenimenti quotidiani, a volte ai margini tra franchezza e discorsi da bettola, ed ecco che il romanzo è già pronto. Se tutto ciò viene accompagnato dalle esigenze del mercato, o meglio dire delle case editrici di scoprire autori nuovi ancora non riconosciuti, e così anche molto meno costosi, sia il lettore sia la critica avranno compiti difficili. Questa problematica, però, per nostra fortuna oltrepassa ormai il nostro orizzonte in quanto diventerà un problema verso la fine del millennio.

Tornando agli anni '70 e '80 vorrei accennare a un altro scrittore pure lui di origine siciliana, a Vincenzo Consolo, praticamente sconosciuto in Ungheria. Il luogo nativo forma spesso il retroscena dei suoi romanzi, delle sue novelle, la sua sicilianità è molto importante. Il motivo frequente anche per lui del "viaggio" nello spazio e nel tempo diventa parte non solo dell'isola ma anche di una storia più ampia. Il suo linguaggio e stile unico creano un'atmosfera particolare. Il romanzo Il sorriso dell'ignoto marinaio è costruito intorno a un filone d'amore: il tema è in realtà l'unificazione dell'Italia. La domanda principale non è la decadenza dell'aristocrazia, come nel caso dello scrittore suo conterraneo più conservatore Tomasi di Lampedusa, ma le scelte storiche dell'intellettuale-aristocratico e i contadini sottomessi. All'inizio del romanzo un marinaio sconosciuto trasporta un ritratto bellissimo di Antonello Da Messina (ecco le arti figurative nella letteratura) il quale sembra somigliargli. In realtà lui ha un compito segreto, quello di preparare l'imbarco di Garibaldi. Alla fine del romanzo sarà lui invece a dover condannare, ormai in qualità di ministro delle truppe vittoriose, i contadini ribelli che prendono alla lettera quello che la rivoluzione gli ha promesso e vogliono la terra. Il romanzo che inizia con il viaggio per mare, con l'immagine del giovane, finirà con i versi sulle pareti del carcere dei contadini condannati a morte, con il linguaggio fuori della storia, della gente comune, e poi con le loro controparti i documenti "ufficiali" del loro processo. I vari registri - il lirico, l'arcaeggiante, le forme dialettali sono spesso invenzioni dell'autore altrimenti inesistenti nella lingua, proiezioni sofisticate di formule sociali complesse. I parallelismi con le arti figurative, o l'incontro tra arti figurative e lingua, le loro mescolanze offrono un ulteriore contributo a questo mondo particolare, amplificano i confini dei generi letterari.

Nelle loro prime opere sia Aldo Busi che Pier Vittorio Tondelli sono ancora vicini all'eredità di Pier Paolo Pasolini: puntano su tabù sociali e familiari. Secondo un critico Busi vuole piacere ai lettori ma contemporaneamente anche scandalizzarli: il tentativo di "épater le buourgoise" è anche dotato di una buona dose di esibizionismo. Nel romanzo Seminario sulla gioventù torna ancora la ribellione sociale degli anni '60 nello specchio degli anni '80. Il protagonista è un ragazzo omosessuale (questa tematica accompagna l'autore anche più avanti), che vagabonda nel mondo, viaggia. A Parigi, proprio fra i membri dei ceti medi benestanti trova compagni di strada: nella donna che lo accoglie e le sue amiche.

Busi e Tondelli, anche se le loro rabbie, il loro linguaggio duro sono paragonabili ai romanzi, ai saggi, agli articoli di Pasolini, sono autori che seguono la propria strada. A differenza di Pasolini loro non usano tanto gli elementi dialettali, ma alcune delle espressioni della lingua parlata, bestemmie, l'argot, e in particolare Tondelli adopera anche nel suo linguaggio, forme grammaticali sbagliate.

Un genere abbastanza particolare, di cui il rappresentante più noto è Claudio Magris, è il romanzo-saggio. Magris elabora molti temi che riguardano la storia, la cultura legata alla sua regione, alla sua città. Queste tematiche formano poi anche una gamma più vasta che interessa la Mitteleuropa, questioni della letteratura e della cultura che oltrepassano i confini dell'Italia.

Una figura a parte nella cultura italiana - ai margini tra letteratura, musica, cultura alta e cultura popolare, è il cantautore. Le loro opere sono ricche di eredità varie della lirica, della musica e sono portatrici di visioni del mondo molto diverse. Sono spesso rappresentanti di una certa autonomia intellettuale e hanno un peso notevole nella cultura dei ceti più colti specialmente giovani o di età media (che conservano questo loro interesse da quando erano giovani).

Sembra un confine non soltanto cronologico anche nella letteratura e nella cultura il 1989, data che oltre a portare cambiamenti nei paesi socialisti, con il crollo del muro di Berlino, con il crollo del mondo bipolare ha indotto una crisi politica, ideologica, culturale, anche in Italia in quanto l'immagine creata prima della società, degli ideali doveva per forza cambiare, diventare ancora più complessa, difficile. Sono sorti punti di vista, modi di vedere nuovi, altri invece sono scomparsi, così anche opere ritenute importanti precedentemente come molte delle opere di matrice ideologica di Moravia - queste però sono domande che non riguardano più il nostro argomento. Proprio per le ragioni menzionate sopra ritengo di particolare interesse il culto di Pasolini che era sempre un personaggio fuori chiave: l'autore di sinistra, marxista, negli ultimi anni ha interessato oltre alla sinistra a volte anche la destra. La prima vede in lui proprio l'atteggiamento dell'intellettuale che per oggi è quasi finito: l'integrità, l'autenticità, la sincerità del personaggio autonomo, la sua rabbia, il suo impegno.

Siamo giunti alla fine della nostra breve passeggiata letteraria. A címben Umberto Eco esszéire utalok., amelyekben az irodalomelmélet erdejében invitálja hat sétára olvasóját. Magyarul: Hat séta a fikció erdejében, ford. Schéry András és Gy. Horváth László, Európa Könyvkiadó, Budapest, 1995 Naturalmente, per i limiti del presente saggio, abbiamo potuto occuparci solo di alcuni fenomeni e di alcune opere della prosa del periodo da noi trattato. Non è per niente facile orientarci anche perché come ho già accennato sopra l'editoria in Italia è molto ricca, e sono anche notevoli le divisioni e le difese degli interessi del mercato.

Tornando alla questione del centro e della periferia, mi pare che le periferie interne - sociali o regionali - pian piano si siano in gran parte sciolti. Per quel che riguarda la letteratura, più esattamente la prosa italiana, o meglio ancora il genere da me preso in esame il romanzo, direi che, pur non essendo diventato un centro che possa dettare i gusti o le mode come per un periodo il cinema o il design, o la stessa moda, comunque ha contatti stretti con il "centro", sicuramente non è periferico. Ritengo importante che anche la letteratura inizi a comprendere le sue caratteristiche specifiche, come l'uso dei dialetti o l'incrocio di tradizioni culturali diverse. Possiamo accennare anche al fatto che la letteratura italiana, anche se nel periodo da noi trattato non abbia prodotto opere di quella statura, comunque fa parte del mito che considera l'Italia una culla della cultura europea e di questo mito ci sono rispecchiamenti anche nel presente.

Un altro fenomeno che contribuisce alla diffusione della letteratura italiana, alla "lettura" delle opere all'estero, è l'alto numero dei discendenti dei milioni di emigrati di una volta. Mentre la prima generazione dei discendenti cercava piuttosto di assimilarsi per esempio alla cultura americana o australiana, quella terza o quarta a quanto sembra inizia ormai a cercare le proprie radici, e anche questo procedimento può aumentare nel mondo l'interesse per la cultura, per la letteratura italiana.

L'editoria italiana muovendosi su una gamma molto vasta include molte e, variatissime pubblicazioni, escono con una velocità impressionante anche traduzioni di opere straniere ritenute di un certo rilievo. Allo stesso tempo risulta difficilissimo orientarci nel "labirinto" di una tale quantità di materiale, tanto più difficile perché una parte di loro non arriva alla diffusione nazionale.

Nel periodo da noi analizzato sono avvenuti cambiamenti notevoli: sono cambiati la letteratura, i generi, la lingua; tabù e pregiudizi sono crollati... Una studiosa straniera dev'essere consapevole dei suoi svantaggi, dei suoi limiti: sia pure ospite frequente nell'ambiente culturale italiano, rimane sempre un'ospite, la sua presenza non è continua; possono sfuggirle opere, avvenimenti, elementi importanti. Può però cercare di trarre vantaggio dalla distanza. E' forse meno suscettibile rispetto alla critica italiana a mode, alla politica, alle pubblicità o ad altri criteri non letterari. Lo studioso lontano può cercare di seguire il Barone rampante di Calvino: vede meno i particolari, ma rivolge la sua attenzione alla profondità.